Commento
1) Secondo Nicola Abbagnano si possono distinguere cinque concetti fondamentali del Bello, e precisamente:
1. Il Bello come manifestazione del bene.
2. Il Bello come manifestazione del vero.
3. Il Bello come simmetria.
4. Il Bello come perfezione sensibile.
5. Il Bello come perfezione espressiva.
La prima concezione è propria di Platone e poi di Plotino, dove assume carattere teologico e mistico; la seconda è sviluppata nell'età romantica, per esempio in Hegel per il quale bellezza e verità sono la stessa cosa.
Il concetto di Bello come simmetria è presente in Aristotele, che lo tramanda anche alla filosofia medioevale e al Rinascimento; la quarta concezione invece è quella con cui nasce e si afferma l'estetica, per esempio in Baumgarten (Aesthetica, 1750), e l'ultima accezione rappresenta un completamento di questa in quanto si considera il Bello come espressione riuscita e quindi Arte.
2) La prima fase dello studio sociologico dell’arte rappresentava ciò che l’autrice dell'opera saggistica "La sociologia dell’arte", Nathalie Heinich, definisce una “estetica sociologica”, indagante i rapporti tra l’arte e la società, intese come entità separate [tra di loro]; di questa generazione fanno parte anche gli importantissimi studi della scuola di Francoforte, comprendenti le riflessioni, oggi fondamentali, di Walter Benjamin sulla riproducibilità tecnica dell’opera d’arte.
La riproducibilità, secondo Benjamin, distruggerebbe quella che egli definisce “l’aura” dell’opera d’arte. Egli la concepisce come qualcosa di irripetibile che era presente nelle opere antiche, un qualcosa di originario che ne garantiva l’autenticità, proveniente da manipolazioni tecniche che gli dovevano apparire ogni volta uniche e non totalmente imitabili e dal fatto che l’espositività dell’opera, quella che oggi si chiamerebbe la sua fruizione, era limitata a pochi, non percepita come oggi da ognuno e ovunque, come accade per ogni immagine che sia realizzata in serie. [...]
La successiva generazione di sociologi dell’arte si interessa all’arte nella società, dando corpo così a una “storia sociale” dell’arte che immerge opere ed artisti nel proprio contesto economico, sociale, culturale e istituzionale, utilizzando metodi più empirici e staccandosi dalle correnti ideologiche. (L'opera d'arte non è quindi solo opera della volontà personale degli artisti, ma il risultato di rapporti sociali, di uno status quo, di un sistema sociale preesistente e insieme di contingenti interazioni sociali, di possibilità umane, politiche, economiche, tecniche e tecnologiche, ed inoltre di adeguati supporti ed aspettative sociali, nota RDM).
La fase più recente di questa disciplina è quella che [...] utilizza, a partire dagli anni Sessanta, i metodi moderni di indagine empirica - come statistica, interviste e osservazioni sul campo - per indagare l’arte come società.
L’arte stessa è [infatti] un microcosmo sociale in cui si svolge un intreccio di relazioni fra artisti, opere, mediatori, pubblico ed istituzioni. [...]
Esemplificativo, a tale proposito, il ruolo socioculturale del critico nel determinare la fortuna di un’opera.
Testi tratti e rivisti da
1) La voce bello nel Dizionario dei termini e dei concetti filosofici di Francesca Brezzi, Ed. Newton.
2) Stefano Castelli, Exibart.Com, recensione di La sociologia dell’arte di Nathalie Heinich, Ed. Il Mulino;
Kore.It su Walter Benjamin e la riproducibilità seriale dell'opera d'arte.
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