Scienza positiva è quella attività umana che risponde a domande reali o formula previsioni¹. Non si esprimono giudizi; i giudizi di natura etica sorgono in un secondo momento dell'indagine umana, successivamente, quando si intende giudicare soggettivamente un fatto. Per conoscere un fatto non è necessaria che la risposta a domande scientifiche. In questo senso, conoscere non è giudicare ma giudicare è anche conoscere. Da questo nasce la differenza tra lo scienzato ed il politico, o comunque colui che compie scelte dotate di logica: il primo conosce, il secondo sceglie. Quando le due cose coincideranno perfettamente, laddove chi compie scelte perfettamente logiche sarà anche perfettamente conoscitore del settore considerato, ve lo farò sapere sicuramente, sempre nel caso mi giungano segni evidenti di simili rivoluzionarie attività politiche. La scienza si riconosce, infatti, pragmaticamente, in un ruolo vassallo alla politica nel momento stesso in cui i più grandi politici non rappresentano contemporaneamente l'elìte scientifica in un paese; ciò pur avendo ovviamente una supremazia culturale che non viene ufficialmente contestata.
Nell'attesa notiamo come una scienza positiva deve o dovrebbe considerare ogni enunciato positivo come conseguente ad un altro. Ciò significa: da A abbiamo B. Il fatto se B sia auspicabile non dovrebbe essere che di competenza soggettiva, e non, quindi, scientifica, oggettiva; lo scienziato, quando agisce come tale, deve soltanto determinare come oggettivamente presente il legame tra i due accadimenti.
Laddove vi è certezza abbiamo una legge (esempio, nella fisica, la legge di gravità e le sue conseguenze inevitabili). Dove vi è l'ignoto, come per i miracoli giudicati tali senza la conoscenza di cosa rappresentino scientificamente, abbiamo il dovere, per le scienze, di astrarsi dal legarli alle teorie scientifiche, pena il decadimento di teorie, anche importanti, altrimenti valide. Mi riferisco al materialismo storico di K.Marx: in esso all'ottima analisi socio-storica e, soprattutto, del capitalismo, dei modi e dei rapporti di produzione ad esso inevitabilmente connessi, seguiva l'enunciazione di un'astratta e non determinata "società senza classi", il comunismo realizzato, "il paradiso senza sfruttamento", un autentico miracolo sociostorico, il quale avrebbe dovuto rappresentare il necessario corollario della dittatura comunista; invero quest'ultimo rappresenta l'unico traguardo raggiunto nei paesi che hanno tentato di applicare, con i distinguo storici locali e le interferenze esterne, la strada del socialismo reale.
Le scienze sociali, purtroppo, pur riuscendo a trovare molte leggi sintetiche scientificamente valide per rappresentare delle società negli aspetti a loro pertinenti, non riescono a trovare leggi universalmente valide per ogni società, al punto che la relativa storicizzazione delle stesse scienze sociali è legata più a questa difficoltà di determinare leggi generali, integrate ed assolute, piuttosto che alla mancanza di successi nell'applicazione delle varie teorie sociologiche, comunicative, storiche, politiche, economiche in settori specifici di intervento. Si riesce ad insegnare come vendere automobili con campagne mirate, perché si sono vendute o meno, ma non ad anticipare, con criteri comparabili, l'azione umana sempre e comunque, pur essendo la compravendita di autoveicoli una attività che impegna psicologia, comunicazione, economia, sociologia e politica (la modifica delle preferenza, i codici, i canali, il target giusto per il prodotto considerato in relazione al mercato ed agli obiettivi economici prefigurati, gli incentivi, la disponibilità del petrolio che ne determina il prezzo e la cooperazione tra mondo industriale, del lavoro e politico). A livello superiore, generale e multidisciplinare, cioé, queste scienze non indicano strade esattamente convergenti; gli stessi studi, ad onor del vero, sono difficili da unificare per l'estrema difficoltà totale di conoscenza dettagliata, riscontrabile solamente in presenza di 'pools' di esperti.
Se l'economia dimostra di conoscere leggi economiche anche molto precise, è altrettanto vero che quando gli aggregati umani sono immensi (il mercato statunitense ad esempio) le certezze sono molto più limitate; un economista mi suggerirebbe probabilmente di non recarmi in Borsa solo con delle certezze matematiche. Per evitare di partecipare come vittima culturale ai tracolli come i recenti (e colossali) di grandi gruppi, preferisco allontanarmi sia dall'economista che dalla Borsa stessa, visti i risultati di entrambi con i gruppi Parmalat, Enron e via discorrendo. Se la storia insegna a registrare le invarianti storiche, come la presenza di guerra o l'antagonismo tra ceti complementari, non per questo gli storici riescono a prevedere certamente il clima sociale nei paesi da loro meglio conosciuti storiograficamente. Non significa che l'economia sia priva di scientificità poiché non riesce a prevedere che a linee essenziali il comportamento di masse di consumatori o di azionisti; sarebbe come sostenere la mancanza di correttezza scientifica della meteorologia, la quale invece ragiona partendo da principi fisici scientificamente incontestabili. Piuttosto è evidente l'astrattezza acontestuale, per comprendere i fatti umani, delle scienze matematiche, le quali ragionano di numeri la cui realtà è soltanto ipotizzata: in natura non esiste il 2 o il 3 ma 2 pianeti, 3 uomini oppure due opinioni, due voci a sostenerle e una a mediare come arbitro. Il difficile, per le teorie sociali, non è il calcolo quindi, ma la scelta delle variabili determinanti per l'agire umano, scelta così ardua che impedisce la 'matematizzazione' dei fatti sociali (cfr. Galileo Galilei e la sua matematizzazione dell'universo. Motore di ricerca: www.google.it Testo da inserire nel motore di ricerca: +"Galileo Galilei" +matematizzazione). Esse non sono oggi determinabili tutte (basti pensare alla psicologia affettiva).
L'imprevedibilità della volontà umana, individuale e sociale, l'estrema ricchezza delle variabili intervenienti sui singoli e sui gruppi umani non permettono, di fronte alla moltitudine di rapporti tra cose e persone e fatti scaturenti, che di individuare alcuni rapporti, alcuni tra milioni, tra variabili considerabili. L'economia, in questo senso, è più affidabile predittivamente perché parte dal presupposto di analizzare variabili soltanto economiche. Ma altre scienze sociali, come la sociologia e la comunicazione, hanno di fronte il difficile compito di analizzare l'intero genere umano con tutti i significati, pensieri, usi, rapporti sociali che la storia ha prodotto. Da ciò deriva o l'estrema semplificazione sociologica, tipica delle sintesi sociologiche più celebri (la dicotomia società-comunità, già qui considerata) o i tentativi esageratamente complessi di sistemazione dell'azione umana, come quello di Vilfredo Pareto, autore peraltro geniale. Evidentemente il problema epistemologico è, per le scienze sociali, più forte delle altre. Non calcolare matematicamente rapporti tra variabili, oggi grazie all'informatica operazione relativamente semplice per il settore scientifico considerato, ma determinare quali variabili, concetti, criteri sono importanti da selezionare per la ricerca sociale, è non solo una sfida, per il ricercatore, ma un dovere per coloro che intendono fornire spinte propulsive notevoli alle scienze sociali, altrimenti schiacciate dal peso della loro stessa storia, vissuta dai protagonisti e dalla opinione pubblica, pur informata, come concettualmente obsolete e, nei casi estremi, come addirittura inutili nel fornire adeguate interpretazioni multidisciplinari dei fatti.