Scienza Politica
Il tipo di sistema politico ed
elettorale adottato in Italia
Autore
Roberto Di Molfetta
Sistema sociale e legge elettorale, relativamente al modo in cui viene concretamente dispiegato l'impegno politico elettorale ad essa relativa, possono porre interrogativi di scelta rispetto a modelli teorici e loro concreta attuazione, come, ad esempio, tra sistema bipolare statunitense, dove due partiti contrapposti nelle proposte politiche ma simili nei confronti dei temi richiamati dal costituzionalismo americano, oltre che dalla genesi costituzionale stessa, si fronteggiano sopratutto in proiezione del 'momento' elettorale oppure, come prima alternativa, una situazione mista, dove i partiti siano più di due e, pur rispettando ognuno la legittimazione del potere costituzionale, costruiscano con il loro operare un sistema del bilanciamento dei poteri non tra una sola monolitica opposizione ed un solo governo ma, bensì, attraverso un opera assidua di creazione, azione e critica nel e al sistema politico di una pluralità multipartitica e politico-associativa non necessariamente di governo.
Altra alternativa potrebbe essere un sistema elettorale proporzionale, come nel recente passato italiano, che permettesse una rappresentanza politica diretta espressione del voto e degli ideali della popolazione avente il diritto di esprimere il voto, prefigurando però un relativo rischio rispetto alla governabilità e alla coerenza, nel lungo termine, di ogni opzione di indirizzo politico.
Bisogna comunque tenere in considerazione, dal punto di vista sociopolitico, quanto alcuni sistemi politici esogeni (cioé esterni al nostro) risentano dell'inadeguatezza del modello politico, pur se sperimentato con successo, poiché diverse le condizioni sociali che si trovano implicate nei diversi paesi in cui si è attuato o in cui si vorrebbe attuarlo.
Gli Stati Uniti D'America potrebbere essere molto più lontani dalla realtà sociale italiana di quanto ottimistiche previsione di futurologi della politica 'globalizzata' vorrebbero prospettare, sia legando il discorsi alle prospettive storiche sia alle dinamiche e statiche tipicamente sociologiche, alle reali richieste politiche oggettive, cioé, della società considerata. Si cita ad exemplum, con riserva rispetto alla pertinenza non del tema ma della totale sua adattabilità contestuale, l'analisi della rivoluzione partenopea del 1799 effettuata da Vincenzo Cuòco nel testo "Saggio storico sulla rivoluzione napoletana", opera del 1801.
Quest'opera vale sia come ammonimento a non realizzare "riforme carta carbone" sia come sprone dialettico ad operare con pazienza nell'adeguare modelli teorici ad una contingente verità storica.
Storiografia, Scienza Politica, Scienze Sociali
Selezione, Trascrizione e Cura
Roberto Di Molfetta
Tratto da: «Machiavelli e il suo tempo»
Autore: Felix Gilbert
Il concetto umanistico di principe e "Il Principe" di Niccolò Machiavelli
La sconfitta dell'Imperatore nella lotta col Pontefice aveva portato la rottura delle concezioni universalistiche del Medioevo. E fu proprio in Italia che il mutamento di atmosfera politica e culturale divenne percettibile prima e più acutamente che altrove, perché dopo l'eliminazione del potere eminente dell'Imperatore e del Papa non v'era più in Italia un'autorità centrale e pareva venir meno ogni base ideologica solida per la vita politica e sociale italiana. La concezione medievale di un ordine politico universale, ed organicamente articolato non era più compatibile con l'indipendenza completa, di cui, in pratica, godevano i singoli stati italiani: [...] furono questa situazione e la conseguente necessità di un nuovo orientamento culturale che resero possibile l'Umanesimo e determinarono la direzione del suo sviluppo, soprattutto nella sfera del pensiero politico.
In conseguenza di ciò l'interesse politico degli umanisti si concentrò innanzi tutto sul repubblicanesimo, il repubblicanesimo della città-stato italiana, poiché là dove erano sopravvissute forme autocratiche di governo, i governanti continuavano a ripetere la loro autorità dall'Imperatore e tentavano di fare legalizzare da esso le loro posizioni di potere. In questi casi il nesso col sistema politico medievale sopravvisse, almeno sul piano teoretico. Ma nel caso delle città repubblicane italiane non v'era più alcun legame col mondo medievale: nella storia politica dell'Occidente esse rappresentano la prima apparizione, dai tempi antichi, dello stato autonomo ed auto-sufficiente; e, come tali, costituiscono il principale problema e insieme la primaria difficoltà dei teorici politici del tempo. [...]
Dal momento che [le repubbliche] avevano guidato la lotta vittoriosa contro l'Imperatore, era naturale che diventassero, in Italia, il fattore politico ed economico decisivo. L'Italia del Trecento è l'Italia delle sue repubbliche cittadine: Firenze, Siena, Venezia, Pisa, Genova. Ma proprio mentre si venivano elaborando le teorie politiche connesse e insieme derivanti da questo sviluppo borghese capitalistico, la situazione politica italiana cominciò ad alterarsi. Un periodo di stagnazione e di recessione segui il periodo di espansione economica mondiale: l'Italia si ripiegò su se stessa, e dal tumulto degli stati italiani emersero e si cristallizzarono un gruppo di grandi potenze, che soverchiarono le più piccole e deboli e le ridussero ad una condizione di dipendenza. Corrispondentemente a questa alterazione nella distribuzione del potere nella penisola e alla concentrazione di esso in pochi stati potenti, si ebbe un mutamento all'interno degli stati stessi: il potere tendeva a concentrarsi nelle mani di poche famiglie o addirittura di una sola famiglia.
L'ondata democratica con cui s'era iniziato il secolo decimoquarto fu seguita da un periodo di reazione; e nel corso del Quattrocento l'autocrazia divenne la forma predominante di governo in Italia. Soltanto Venezia, tra gli stati più importanti, conservò le guise di un'autocrazia repubblicana; ma a Milano i Visconti stabilirono l'autocrazia così fermamente che, quando la loro famiglia si estinse, l'opposizione al governo di Francesco Sforza fu presto vinta; a Firenze presero il potere i Medici, i quali conservarono l'apparenza di una forma di governo repubblicana, ma gradualmente concentrarono con successo tutti i poteri fondamentali nelle loro mani.
Pure, l'alterazione più importante nel mondo degli stati italiani si ebbe nel Sud: dopo un periodo di discordie e di lotte interne l'ordine fu ristabilito a Napoli e il regno assunse, una volta di più, un ruolo attivo come grande potenza nella penisola. Così, a fianco delle città-stato borghesi-capitalistiche, che erano diventate la forma politica prevalente nel Nord e nel Centro della penisola, nel Sud uno stato feudale-monarchico poté riaffermare le sue pretese al potere politico, e il suo signore, Alfonso d'Aragona, poté prevalersi del prestigio che circondava un'antica dinastia ereditaria.
Tali, dunque, furono gli svolgimenti politici che suscitarono un nuovo interesse per il principato: e la loro conseguenza fu che il pensiero politico degli umanisti, repubblicano agli inizi, finì col diventare monarchico.
Ma la verità è che una nuova sorta di 'principe' era nata in Italia: il condottiere, che fondava una dinastia, e la famiglia cittadina che guadagnava una posizione dominante nella sua propria città erano fenomeni che erano potuti accadere solo in un universo autosufficiente di stati interamente indipendenti. La teoria politica si trovava così innanzi il problema di fornire una legittimazione a questa nuova specie di prìncipi e di assimilarli al concetto di monarchia, che ancora sopravviveva. Il nuovo interesse per il principato implicava l'esistenza di problemi nuovi e senza precedenti.
Scienza Politica, Economia, Scienze Sociali
Selezione, Trascrizione e Cura
Roberto Di Molfetta
Tratto da: «Fondamenti di Economia Politica»
Autore: Rodney H.Mabry, Holley H.Ulbrich
Negli anni recenti gli economisti, nel tentativo di spiegare il processo politico e di individuare le cause del fallimento pubblico (allocazione errata delle risorse), hanno formulato una teoria, detta teoria delle scelte pubbliche, la quale cerca di spiegare come i cittadini comunicano i loro desideri alle autorità politiche e come gli incentivi economici del processo in cui vengono prese le decisioni politiche influenzano l'allocazione delle risorse da parte della Pubblica Amministrazione.
Al centro della teoria delle scelte pubbliche sta l'ipotesi che i politici e i burocrati siano economisti sul campo come tutti gli altri individui: tentano di massimizzare la propria utilità e di rispondere agli incentivi che incontrano. Quando gli individui lavorano per la "cosa pubblica" (res publica), non cambiano automaticamente il proprio comportamento normale, motivato dall'interesse personale, con l'altruismo tipico del settore pubblico.
Utilizzando il modello del comportamento individuale per esaminare come vengono prese le decisioni pubbliche, la teoria delle scelte pubbliche individua alcune cause del fallimento pubblico:
1 - La votazione a maggioranza può non rivelare con precisione le vere preferenze dei consumatori.
2 - I votanti possono non essere informati.
3 - Le preferenze dei gruppi di interesse particolare (come una lobby compatta o di una minoranza comunque agguerrita su particolari temi, notaRDM) possono contare più di quelle della maggioranza dei singoli cittadini (notaRDM: ad esempio l'uso del denaro versato per il pagamento di tasse dagli studenti universitari di una Facoltà universitaria italiana può essere usato per interessi lobbistici di altre Facoltà, come di quelle Federate, o di particolari lobbies interne alla medesima Facoltà, stornando il medesimo dall'acquisto di beni immobili e mobili utili allo studio, come aule dignitose o personale docente esterno realmente qualificato o comunque scelto in base a criteri di efficienza, efficacia e competenza; tutto viene comunque giustificato, pubblicamente, tramite i normali canali di rappresentanza ed autogoverno accademico, come Senato Accademico o Consigli, e mediante la decisione di pubblicizzarle all'esterno con pubbliche iniziative, anche quando esso rappresenta comunque un fallimento pubblico nella destinazione di risorse economiche non illimitate, come quelle formate dall'aggregato delle risorse pubbliche e di quelle fornite dal corpo studentesco e dalle relative famiglie - RDM).
4 - Le tecniche legislative come lo scambio di voti determinano l'espansione dei programmi oltre i livelli ottimali.
5 - I burocrati possono rispondere a incentivi che hanno poco a che fare con desideri dei consumatori.