Raccolta di appunti personali ed estrapolazioni

Roberto Di Molfetta




Scienze Sociali
METODI PER LA RICERCA
EMPIRICA NELLE SCIENZE SOCIALI

Selezione, Trascrizione e Cura: Roberto Di Molfetta
Tratto dai Relativi Programmi Accademici



[Si dovrebbe] possedere le conoscenze fondamentali delle discipline sociologiche, statistiche ed epistemologiche, nonché un’approfondita conoscenza nel campo delle discipline economico-demografiche, giuridiche, politologiche e in quello della antropologia culturale e della psicologia sociale, anche nella prospettiva di genere; possedere un’elevata padronanza degli strumenti logico-concettuali e metodologici per lo studio dei fenomeni sociali, e quindi delle competenze metodologiche e tecniche avanzate relative alla rilevazione, costruzione e trattamento dei dati e delle informazioni sociali; in particolare possedere un’avanzata conoscenza degli strumenti per la classificazione, l’elaborazione e l’analisi dei dati quantitativi e qualitativi e delle informazioni sociali sotto forma numerica, testuale e grafica ed in merito alla costruzione di scale e indici per la rilevazione e la misura dei fenomeni sociali ed essere in grado di comprenderne le implicazioni sostantive nella loro applicazione a problematiche proprie delle scienze sociali; possedere competenze per l’analisi delle fonti statistiche economiche, demografiche e sociali ufficiali a livello sia nazionale che internazionale, e per l’acquisizione e la gestione di banche dati, nonché di avanzate conoscenze per il trattamento informatico di dati e informazioni sociali; disporre di un’approfondita conoscenza dei metodi e delle tecniche per la conduzione di sondaggi di opinione e ricerche di mercato; possedere un’elevata capacità di progettazione e conduzione nei principali campi di applicazione delle scienze sociali; disporre di una avanzata conoscenza dei metodi e delle tecniche di predisposizione e presentazione di rapporti di ricerca; essere in grado di dirigere strutture di ricerca sociale sia nel settore pubblico che privato; essere in grado di utilizzare fluentemente, in forma scritta e orale, almeno una lingua dell'Unione Europea oltre l'italiano, con riferimento anche ai lessici disciplinari.



Scienze Sociali
Genesi dell'Opinione Pubblica

Selezione, Trascrizione e Cura:
Roberto Di Molfetta
Autrice: Brunella Casalini



La comparsa sulla scena dell'opinione pubblica è legata all'emergere di alcune peculiari condizioni proprie della modernità. Tra queste, prima di tutto, il configurarsi di uno spazio, la società, collocato tra la sfera privata e la sfera pubblica statuale. La nascita dell'opinione pubblica s'intreccia con le vicende di formazione dello stato moderno, con la fine della società corporativa e del regime di privilegi della società feudale, con il progressivo affermarsi dell'idea di eguaglianza formale dei soggetti di fronte alla legge (Matteucci) e con la pubblicità degli atti di governo, a cominciare da quelli parlamentari. Un fenomeno, quest'ultimo, databile intorno alla prima rivoluzione inglese, la cui importanza non può essere sottovalutata in quanto rompe il regime di segretezza vigente fino ad allora intorno agli atti del governo (in particolare, cfr. Zaret, 2000). Da questo punto di vista, il principale contributo dato da Necker alla fine del Settecento, nell'ambito della storia del concetto dell'opinione pubblica, viene considerato dagli storici, ancor più dei suoi scritti teorici sull'argomento, proprio l'introduzione di un'innovazione fondamentale: la pubblicazione degli atti relativi alla condizione fiscale dello stato (compte rendu) (Speier, 1950 ).

Il processo di formazione dell'opinione pubblica non sarebbe stato possibile, tuttavia, senza il ruolo decisivo svolto dalla stampa. Con la diffusione della stampa periodica, e la comparsa di nuovi spazi di socialità, quali i caffè, i gabinetti, le società di lettura e i clubs, alla fine del del XVIII secolo, appare sempre più chiaro il verificarsi di un fenomeno - per alcuni già riscontrabile a cominciare almeno dalla metà del seicento - per descrivere il quale è necessaria l'invenzione di termini nuovi quali pubblicità (publicité, publicity, Publizität), "public spirit", "general opinion" e "opinion publique", ad indicare uno stile inedito di comunicazione che si afferma tra i privati cittadini borghesi, in polemica con lo stile cortigiano. La fruizione di nuovi prodotti culturali - come ha sottolineato Habermas - ingenera nella cultura settecentesca un gusto per la discussione e l'argomentazione che tocca ben presto non solo l'arte, il teatro e la letteratura, ma anche la politica e l'economia.
Lo spazio pubblico, che viene così lentamente a porsi in modo autonomo tanto dalla sfera privata quanto dalla sfera del potere, ovvero dello stato, della police e dell'amministrazione, è lo spazio di una società che si vuole fondata non su criteri di rango e di ceto, ma sulla condivisione di una comune umanità, su quell'astrazione da considerazioni di status che governa il senso del tatto (Habermas). Il pubblico dell'epoca dei Lumi, costituito da lettori di giornali, riviste e pamphlets, rivendica la possibilità di un'opinione illuminata, capace di superare le visioni particolaristiche e giungere ad una chiara percezione dell'interesse generale (notaRDM: vi è da notare che il pubblico a cui si riferisce l'autrice era sempre elitario, ristretto, rispetto alla produzione e pubblicazione di massa, tipica dell'industria culturale del secolo Novecento; quest'ultima aveva alla base l'allargamento del suffragio sul versante sociopolitico e l'attesa popolare di miglioramenti economici, assistenziali e professionali sul piano delle rivendicazioni delle masse lavoratrici a basso reddito). Esso concepisce se stesso come portare di un'opinione che intende costituirsi a momento di discussione, verifica e regolazione del potere, volto ad avvicinare il più possibile la volontà del legislatore alla ragione emersa nella concorrenza pubblica di argomenti privati, in modo che la legge risponda a criteri di generalità, universalità ed astrattezza. Con Kant, in particolare, lo spazio pubblico in cui le persone private fanno uso pubblico della loro ragione contro il potere assolutistico assurge a condizione necessaria di una razionalizzazione della politica in nome della morale.

Il terreno per quell'opera di demistificazione dell'opinione pubblica che avrà luogo a cominciare dalla fine dell'Ottocento, si considera in genere preparato da autori come Tocqueville e J.S.Mill. Se il potere conquistato dall'opinione pubblica rappresentava per i pensatori illuministi la fine del regno della coercizione e della violenza e l'avvento del governo per mezzo dell'argomentazione e della persuasione, per Tocqueville e Mill, il dominio dell'opinione ha una sua specifica forza coercitiva. Dire che l'opinione pubblica governa il mondo equivale ora a dire che la massa e la generale mediocrità esercita una costante violenza morale sulle minoranze.

Da strumento di emancipazione l'opinione pubblica, non più emanazione del pubblico di privati colti del Settecento, ma di una massa amorfa e indifferenziata, sembra divenire strumento d'integrazione piuttosto che di critica.

A segnare l'inizio del processo di degenerazione della sfera pubblica è, secondo Habermas, la trasformazione della società civile intervenuta alla fine del XIX secolo con il declino dell'autonomia del sociale sulla spinta dell'interventismo statale, richiesto dall'ingresso della massa nella vita politica e da una nuova fase dello sviluppo capitalistico. Con l'invasione della società da parte del momento amministrativo-statuale si ridisegnano anche i rapporti tra pubblico e privato, con fenomeni quali la pubblicizzazione della vita privata e la privatizzazione della sfera pubblica. Un'ulteriore spinta alla degradazione della sfera pubblica, a cominciare da quello stesso periodo, viene dal progressivo assoggettamento della stampa e dell'editoria alle leggi di un mercato di massa, che si riflette nel generale abbassamento del livello culturale dei giornali e dei periodici, e nella tendenza alla spoliticizzazione dei messaggi da essi veicolati.
Sono, tuttavia, le scienze sociali tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo a sferrare l'attacco più duro contro il concetto settecentesco di opinione pubblica. La psicologia sociale di Sighele, Tarde, Le Bon, McDougall, il behaviorismo di Watson e le analisi della democrazia di autori come Bryce e Ostrogorsky concorrono a ridefinire i limiti dei governi democratici proprio a partire dalla difficoltà di tenuta dell'idea di un'opinione pubblica critica o illuminata.

Tra questi protagonisti delle scienze sociali della fine del XIX secolo, un posto particolare nella storia del concetto di opinione pubblica va riconosciuto senz'altro a Tarde. Distaccandosi da quello che era allora l'orientamento scientifico prevalente, Tarde sarà il primo a distinguere il fenomeno della folla da quello del pubblico e ad individuare in quest'ultimo il vero protagonista della storia avvenire, ricollegandone la forza e l'espansione alla diffussione sempre più universale della stampa. La sua valutazione del fenomeno è interessante per le ambivalenze che egli tende a sottolineare: da un lato infatti rintraccia nel pubblico gli stessi meccanismi di imitazione e di suggestione attivi nelle folle, dall'altro ne evidenza il carattere maggiormente riflessivo (il lettore di giornale si trova da solo di fronte alla pagina stampata) e frammentario (si può appartenere contemporaneamente ad una molteplicità di pubblici). Per questi aspetti il pubblico rappresenta, agli occhi di Tarde, una forma di socialità più evoluta rispetto alla folla: è il suo carattere di fenomeno intellettuale a lasciare spazio ad una valutazione non necessariamente negativa (sebbene Tarde parli tanto della possibilità di "folle criminali" quanto di quella di "pubblici criminali") [...]
Lo sviluppo degli studi psicologico-sociali sull'opinione pubblica coincide, in effetti, con l'apparizione dell'uso dei sondaggi di opinione, ovvero con il tentativo di quantificare e misurare l'opinione a partire da una suddivisione in gruppi del pubblico e dall'individuazione di campioni rappresentativi. Sviluppatasi nell'ambito delle ricerche di mercato sui gusti e le preferenze dei consumatori alla fine del XIX secolo, la tecnica del sondaggio d'opinione comincia a venire utilizzata nel campo delle previsioni elettorali intorno agli anni venti. È George Gallup, nel 1935, a decidere del metodo e della finalità dei sondaggi con la creazione dell'Istituto Americano dell'Opinione Pubblica (cfr. J.Zask, 1999, p.109). Con la previsione riuscita della rielezione di Roosevelt alla presidenza nel 1936 il metodo Gallup, e con esso i sondaggi effettuati mediante campioni rappresentativi, ottenne un vero e proprio trionfo. Nel 1938, i primi sondaggi d'opinione furono effettuati anche in Francia da Jean Stoetzel. A quest'ultimo si deve, oltre all'invenzione del termine sondage, la fondazione dell'Institut français d'Opinion Publique.

Con l'introduzione dei sondaggi il concetto di opinione pubblica viene a designare - come suggerisce Ferry - "una massa segmentata di pareri che esprimono interessi privati vale a dire conflittuali. È, infatti, a partire da questa nozione di opinione pubblica che operano i grandi istituti per i sondaggi". Molti studi contemporanei sottolineano il carattere manipolatorio dei sondaggi di opinione: la loro regolare periodica pubblicazione costituirebbe, secondo alcuni (ma la questione rimane controversa), un vero e proprio fattore continuativo d'interferenza e distorsione della comunicazione (cfr. Bourdieu 1984).

Se il discredito dell'opinione pubblica è, in parte, dovuto alla fiducia nel sapere scientifico, alcuni dei tentativi contemporanei di rivalutare lo spazio del doxazein, come terzo rispetto alla doxa e all'episteme, secondo la formulazione di Ricoeur, ovvero come spazio del probabile, sono certamente da ricondurre alle difficoltà in cui si trova il linguaggio scientifico quando si tratta di affrontare questioni che sono legate in particolare all'inizio e alla fine della vita. Il linguaggio scientifico dimostra in questi ambiti, e, più in generale, nell'ambito politico - come sottolinea Arendt - una carenza di potere comunicativo. Esso tende infatti a nascondere, e talvolta a negare, che le pratiche scientifiche implicano scelte di valore. Il programma di un dialogo tra esperti e opinione pubblica, tra le esigenze di un'istanza critica e la forza delle convinzioni diffuse, ha trovato una qualche forma di realizzazione con la creazione di comitati di bioetica e nei movimenti associativi impegnativi in ambito ecologico. Sebbene il ruolo dei comitati etici rimanga controverso, il modello comunicativo al quale essi si ispirano è quello di uno spazio pubblico che implica un confronto paritario tra sapere ordinario, derivante dal vissuto del malato o del cittadino ordinario, e saperi esperti di vario genere, anche di tipo umanistico.









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