Economia
La Moneta
Selezione, Trascrizione e Cura:
Roberto Di Molfetta
Tratto da: "Dizionario di Economia" - Autore: Frédéric Teulon
Usata per regolare i debiti contratti in seguito ad uno scambio. La moneta generalmente viene definita non in base a ciò che realmente è, ma in base alle funzioni che svolge:
- Intermediaria per gli scambi: consente di spezzare il baratto in due transazioni indipendenti.
- Unità di conto: permette di determinare una scala generale dei prezzi.
- Riserva di valore: protegge il potere di acquisto di coloro che la utilizzano.
Una moneta si dice completa quando svolge le tre seguenti funzioni:
- Divisionale: moneta metallica.
- Fiduciaria: il suo valore si poggia sulla fiducia (banconote).
- Scritturale: insieme degli ammontari iscritti sui conti dei clienti delle banche in seguito a depositi o concessioni
di credito. I trasferimenti di moneta scritturale vengono effettuati a mezzo di scritturazioni contabili.
Economia, Scienze Sociali
Il concetto di mercato
Selezione, Trascrizione e Cura
Roberto Di Molfetta
Tratto da: Gandalf.It - Autore: Guglielmo Barbiero
Dai tempi degli scritti di Bruce Henderson le riflessioni in tema di “mercato” sono state numerose.
Il termine “mercato” è infatti oggi utilizzato con molti significati: può essere riferito a una tecnologia produttiva, una categoria di utilizzatori, una famiglia merceologica, una funzione svolta dai prodotti, un particolare bisogno soddisfatto. È dunque un termine-contenitore, per nulla utile in mancanza di un riferimento. La consuetudine di attribuire al “mercato” il significato di settore - tecnologia - processo produttivo (eredità dell’economia di produzione) è fortemente limitativa.
Questo modo di pensare è sempre più in contrasto con la crescente pratica della differenziazione perseguita dalle imprese. La forza di una marca sta nella sua capacità di determinare un suo proprio mercato, di cui definisce i confini e l’identità che la rende riconoscibile, differenziata e inconfondibile. Chi acquista i suoi prodotti o servizi non li vede come una delle alternative disponibili, ma come qualcosa di unico e diverso.
Il concetto di “quota di mercato” è poco utile a suggerire efficaci alternative di azione. Gli studi sulla concorrenza si sono preoccupati di misurare la spartizione di un’entità ambigua e convenzionale (“mercato”) più che di chiarire i motivi per cui due imprese si possono considerare “concorrenti” o due prodotti reciprocamente sostituibili.
In altre parole: non è detto che il successo di un’impresa, di una marca, di un prodotto o di un servizio stia nella conquista di una “quota” in un “mercato” occupato e definito da qualcun altro. Anzi, la posizione è molto più forte quando ciò che l’impresa offre ridefinisce la struttura del mercato, determina nuovi parametri, o addirittura costruisce un quadro di riferimento di cui è proprietaria e leader naturale.
Risultati di questo genere sono quasi sempre basati su qualità intrinseche del prodotto o del servizio, con “barriere tecnologiche” che rendono difficile l’entrata di concorrenti; ma anche su un posizionamento che risponde alle esigenze di chi acquista in modo diverso dagli standard convenzionali del “mercato”.
Anche nella definizione del cosiddetto “ombrello” di marca (cioè quanti e quali prodotti o servizi possono portare lo stesso nome) non è importante solo valutare le competenze e coerenze tecniche (cioè che cosa l’impresa sa produrre, acquistare o distribuire) ma anche quali precise (e per quanto possibile “inimitabili”) caratteristiche ha la marca come punto di riferimento per il “consumatore”. Estensioni coerenti all’identità della marca (come garanzia-utilità per chi acquista) la rafforzano; deviazioni su terreni “non attinenti” la possono indebolire.
Se questo è vero in generale, lo è ancora di più in Internet. Nella molteplicità delle reti anche imprese relativamente piccole possono definire un territorio e presidiarlo. L’interattività globale modifica il concetto di dimensione e di “economie di scala”. Un’altissima specializzazione, che potrebbe non arrivare alla soglia minima di “ritorno sull’investimento” in una prospettiva locale o anche nazionale, può essere premiante su scala mondiale. Ciò che a Milano o a Roma interessa a dieci persone, nel mondo può trovare mille clienti. [...] Giulio Cesare diceva « preferirei essere il primo in un villaggio che il secondo a Roma ».
Ma qui non si tratta di potere politico o militare. Si tratta degli enormi vantaggi che ottiene un’impresa quando ha le leve di controllo su un “suo” mercato che, nella molteplice diversità di un’economia globale, può avere dimensioni molto più grandi di un villaggio o di una piccola agorà condizionata dalla vicinanza fisica.
Scienze Sociali, Economia, Sociologia
Le imprese e i giovani
Selezione, Trascrizione e Cura:
Roberto Di Molfetta
Tratto da: laRepubblica.it - Autore: Antonio Fazio
Il livello medio di istruzione è in Italia il più basso rispetto ai maggiori paesi industriali. Carente è l'offerta di lavoro qualificato nelle discipline tecniche. L'ammontare delle risorse destinate alla ricerca pubblica e a quella svolta dalle imprese è inferiore rispetto alle altre economie industriali. È necessario con fermezza, lungimiranza, appropriatezza di interventi, reagire rafforzando, nei rispettivi ambiti, l'attività del settore pubblico e di quello privato.
Le Università e gli istituti di ricerca devono formare un numero crescente di giovani dotati di intelligenza e volontà di apprendere e progredire. Le tecnologie sviluppate nei centri di ricerca dei paesi più avanzati sono disponibili anche per le nostre imprese. Le nuove forme di organizzazione possono e debbono essere adattate alla nostra struttura produttiva.
In quest'opera il ruolo delle imprese più grandi è insostituibile: esse rappresentano, anche attraverso la formazione dei dipendenti, il principale luogo di raccordo fra la cultura organizzativa che si sviluppa nelle economie più avanzate e quella che si forma nel paese. Ma ne trarremo vantaggio soltanto se gli avanzamenti si estenderanno a tutte le imprese. Non cogliere prontamente le prospettive che si aprono può significare candidarsi all'arretramento.
Dobbiamo guardare con fiducia ai prossimi anni. Potranno essere anni di un rinnovato slancio sul fronte dell'innovazione e dello sviluppo produttivo. Le condizioni della finanza internazionale sono favorevoli. La struttura dell' offerta di credito è migliorata in misura considerevole anche nel nostro paese. La politica economica deve cogliere le opportunità offerte dalla nuova fase di sviluppo del'economia mondiale.
È noto da sempre agli economisti che il fattore ultimo dello sviluppo, della crescita dell'economia, del benessere e della sua diffusione è costituito dal lavoro, dall'uomo con la sua capacità di operare, progettare e innovare. Questo ruolo non è destinato a ridursi, anzi, viene esaltato nel nuovo contesto.
Economia, Scienze Sociali
Relazione Annuale della Banca D'Italia
sulla
Funzione di Vigilanza della Concorrenza · Anno 2003
Selezione, Trascrizione e Cura: Roberto Di Molfetta
Tratto da: Bancaditalia.it - Autore: Guglielmo Barbiero
Promozione e tutela della concorrenza
nel settore del credito
Lo sviluppo della concorrenza
Dai primi anni Ottanta la convergenza delle normative e delle prassi di vigilanza e i progressi nelle tecnologie dell’informazione hanno favorito nei paesi dell’Unione Europea un innalzamento del livello della concorrenza nel settore bancario. In particolare, sono state ridotte le barriere all’entrata nei mercati e progressivamente eliminate le segmentazioni geografiche e di prodotto; gli operatori hanno sviluppato strategie volte ad ampliare la gamma dei prodotti e ad accrescere l’efficienza aziendale, con beneficio per le condizioni di offerta dei servizi destinati a famiglie e imprese.
Secondo il Rapporto annuale della Banca Centrale Europea per il 2002, l’integrazione dei sistemi bancari europei si è rivelata più rapida nei mercati all’ingrosso, come quelli monetario e interbancario, e nel mercato dei capitali, in cui si sono affermati intermediari finanziari con operatività internazionale. Nei servizi bancari al dettaglio i legami tra i mercati dei diversi paesi si sviluppano prevalentemente attraverso la partecipazione al capitale degli intermediari.
In Italia la crescita della concorrenza è stata promossa dalla Banca d’Italia, prima ancora che la legge 10 ottobre 1990 n° 287 le assegnasse funzioni antitrust, con un’intensa azione diretta ad assecondare l’ingresso di operatori nei mercati locali, a superare la specializzazione e la conseguente segmentazione dei mercati per i singoli prodotti e servizi, a favorire la riduzione dei costi. La ricerca dell’efficienza ha determinato un intenso processo di concentrazione del sistema, particolarmente significativo nel confronto con gli altri principali paesi europei. Nonostante la riduzione del numero delle banche, il grado di concorrenza è notevolmente aumentato, per l’entrata di nuovi intermediari, l’uscita di quelli meno efficienti, la ristrutturazione dei gruppi principali, l’ampliamento dei canali di distribuzione dei prodotti finanziari e l’accresciuta trasparenza delle condizioni dei servizi offerti. Dall’inizio del 2000, nonostante la costituzione di 85 banche, il loro numero è passato da 876 a 788; le succursali e le filiazioni di gruppi bancari esteri sono aumentate, nello stesso periodo, da 71 a 77.
Alla fine del 2003 gli sportelli erano 30.502 (27.134 alla fine del 1999), pari a circa 5 insediamenti ogni 10.000 abitanti (in Germania erano 6 e in Francia 4); i promotori finanziari erano 34.600 (12.790 alla fine del 1999). Nel 2003 attraverso i canali telefonici e telematici è transitato oltre il 25 per cento del volume delle operazioni di raccolta ordini dalla clientela. Il numero medio di banche per provincia è salito da 27 all’inizio degli anni novanta a 34 alla fine del 2003. [...] Nel periodo 1995-2002 il costo medio del credito bancario a breve termine in Italia si è ridotto di circa sette punti percentuali, registrando una progressiva convergenza sui valori prevalenti nell’area dell’Euro. Alla fine del 2003 i tassi applicati alle nuove erogazioni di prestiti di ammontare inferiore a un milione di Euro che approssimano le condizioni applicate alle imprese di minore dimensione si sono attestati, sia in Italia sia nell’area dell’Euro, al 4 per cento circa.
Nel settore dei prestiti per l’acquisto di abitazioni, in larga misura erogati a tassi variabili, il livello dei tassi applicati dalle banche italiane è risultato inferiore di circa mezzo punto percentuale a quello medio dell’area. Il settore bancario registra, inoltre, una crescente concorrenza esercitata dai prodotti finanziari di Poste Italiane. La divisione Bancoposta, la cui attività è sottoposta alla normativa sulla tutela della concorrenza, come stabilito dal Decreto del Presidente della Repubblica 14 marzo 2001 n° 144, si avvale di una rete distributiva composta da circa 14.000 uffici (il gruppo bancario italiano di maggiori dimensioni può contare su circa 3.000 sportelli). Al 31 dicembre del 2003 il numero dei conti correnti detenuti presso Bancoposta era pari a circa 3,6 milioni, con una crescita del 28 per cento circa rispetto all’anno precedente. Con 4,6 milioni di carte, Bancoposta rappresenta il primo emittente di carte di debito in Italia. La concorrenza degli intermediari di matrice estera è particolarmente rilevante nei settori diversi dall’intermediazione tradizionale, quali la finanza aziendale, la gestione professionale del risparmio, la negoziazione di strumenti finanziari, il factoring, il credito al consumo e le carte di pagamento.
Nei servizi di consulenza per operazioni di fusione e acquisizione prevalgono gli operatori esteri (8 sui primi 10). Nei mercati del credito al consumo e del factoring tra i primi 20 operatori figurano, rispettivamente, 6 e 5 soggetti di matrice estera; a tale tipologia di intermediari è riconducibile circa il 12 per cento del mercato delle gestioni patrimoniali.
L’azione della Banca d’Italia a tutela della concorrenza ha tratto vantaggio dalla conoscenza della struttura e dei comportamenti dell’industria bancaria maturata nell’esercizio dei controlli di vigilanza; l’ingente patrimonio statistico raccolto per tale finalità, ampliato nel corso degli anni, è impiegato anche per verificare le condizioni concorrenziali dei mercati in cui operano le banche. Dal 1990 sono stati esaminati più di 700 operazioni di concentrazione e numerosi accordi tra intermediari; è stato verificato che gli operatori con elevata quota di mercato non abusassero della posizione dominante.
Questa attività, che ha preso in considerazione anche le condizioni della concorrenza bancaria in ambiti territoriali circoscritti, ha dato luogo all’avvio di 55 istruttorie, un numero elevato rispetto agli altri settori di attività economica. Particolare impegno è stato riservato alla tutela della concorrenza nel sistema dei pagamenti. Esigenze tecniche, principalmente riconducibili alle caratteristiche di rete dei servizi di pagamento, richiedono forme di cooperazione tra gli operatori per ridurre i costi e favorire l’innovazione. [...]
Economia, Sociologia
Lavoro, Fattori di Produzione, Salario, Mercato del Lavoro
Selezione, Trascrizione e Cura:
Roberto Di Molfetta
Tratto da: Simone.It
Lavoro
Fattore della produzione che include l'insieme delle attività umane, fisiche o intellettuali, volte alla produzione di beni o servizi che, in quanto tale, può essere considerato un bene con un proprio valore e quindi con un prezzo, rappresentato dal salario. Il meccanismo di funzionamento del mercato del lavoro risulta però estremamente complesso se rapportato a quello di altri fattori produttivi. Esso è influenzato da numerose componenti economiche, politiche e sociali: ne discende che la legge della domanda e dell'offerta assume una rilevanza proporzionalmente minore rispetto ad altri mercati. Caratteristica delle società industriali rispetto a precedenti sistemi, insieme alla creazione di un mercato del lavoro, è la specializzazione delle funzioni.
Fattori di Produzione
Risorse (input) utilizzate dall'impresa per la produzione di beni e servizi (output). I fattori di produzione vengono tradizionalmente classificati (e tale classificazione è dovuta a J.B. Say) come terra, lavoro e capitale.
NotaRDM - Notare una relativa obsolescenza tassonomica della classificazione categoriale, dovuta peraltro alla stabilità divulgativa della stessa attraverso diverse epoche economiche, industriali e post-industriali; ad esempio l'idea di materia prima, come il petrolio, o le idee creative brevettate, come il marchio, sono troppo rilevanti per non riconsiderare l'importanza a livello nominale della terra rispetto alle altre categorie, come lavoro e capitale, RDM. A queste tre categorie viene spesso aggiunta come fattore produttivo anche la capacità organizzativa.
La terra è un fattore originario della produzione ed è costituita dall'ambiente fisico nel quale questa si svolge; il compenso per l'impiego della terra nella produzione è costituito dalla rendita. Il lavoro è costituito dalle energie fisiche e psichiche che gli individui destinano alla produzione; il compenso per il lavoro è il salario. Il capitale è, invece, un fattore derivato dalla produzione ed è formato da un insieme di beni prodotti dall'uomo e utilizzati a loro volta nella produzione di altri beni; il compenso per l'impiego del capitale è dato dall'interesse.
La capacità organizzativa, infine, consiste nell'abilità tecnica di combinare nella migliore proporzione gli altri fattori produttivi per trarne il risultato economico più vantaggioso; il suo compenso è dato dal profitto (s'intende la capacità organizzativa come realizzata e rappresentata, in senso lato non economico, da imprenditori, presidi, managers, direttori di giornali ed ogni figura suscettibile di attivarsi per organizzare risorse economicamente limitate, notaRDM). Nella teoria dell'equilibrio dell'impresa si assume in genere che questa sceglierà quella combinazione di fattori produttivi che consente (per un dato livello produttivo) di minimizzare i costi di produzione.
Salario
Remunerazione del fattore produttivo lavoro. In particolare, secondo una distinzione oggi in gran parte superata, il salario sarebbe la remunerazione spettante agli operai mentre, per gli impiegati, si dovrebbe parlare di stipendio. Il salario può distinguersi in monetario (o nominale) e reale.
Il primo corrisponde alla quantità di moneta che il lavoratore riceve quale corrispettivo del suo lavoro, mentre il secondo è dato dalla quantità di beni e servizi acquistabili con il salario monetario.
Il salario reale è uguale al rapporto W/p tra il salario monetario W ed il livello dei prezzi p.
Mercato del lavoro
Espressione generica con cui vengono indicati i meccanismi attraverso i quali la domanda e l'offerta di lavoro si incontrano portando alla fissazione di un particolare prezzo per la remunerazione dell'opera prestata dai lavoratori. Tale mercato non può, tuttavia, essere assimilato a qualunque altro mercato in cui si scambiano beni e servizi, in quanto esso presenta delle peculiarità sue proprie.
La presenza di associazioni sindacali da un lato e di associazioni imprenditoriali dall'altro, per cui la contrattazione salariale non avviene (in genere) a livello di singolo lavoratore ma attraverso associazioni di categoria; per questo motivo il mercato del lavoro è definito come il classico esempio di monopolio bilaterale.
L'azione dello Stato che in tale mercato assume una triplice funzione:
Datore di lavoro. La Pubblica Amministrazione e gli altri enti pubblici assorbono un numero non esiguo di forza lavoro. I salari concessi dalle autorità statali spesso fungono da indicatore anche per il settore privato.
Mediatore nelle contrattazioni collettive tra associazioni imprenditoriali e sindacati.
Legislatore quando emana norme che pongono particolari vincoli sia agli imprenditori che ai lavoratori.
La segmentazione del mercato e la diversa qualifica ed esperienza acquisita da ciascun dipendente impone una differenziazione anche dei livelli retribuitivi, i quali devono essere adeguati al ruolo occupato dal lavoratore nell'ambito del processo produttivo.
La dimensione del mercato: il mercato stesso viene generalmente associato al concetto di mobilità dei lavoratori. Sono infatti questi ultimi a determinare l'ampiezza del mercato attraverso la fissazione di limiti spaziali entro cui sono disponibili a trasferirsi: ovviamente la mobilità è anche influenzata dalla domanda esistente ai diversi livelli (locale, regionale o internazionale) di una determinata qualifica professionale di cui è in possesso il lavoratore. Il mercato del lavoro e in particolar modo lo studio delle cause che generano la disoccupazione occupano un ruolo centrale nelle diverse correnti del pensiero economico.
Scienze Sociali
Il concetto di consumatore attivo
Selezione, Trascrizione e Cura:
Roberto Di Molfetta
Tratto da: Cittadinanzattiva.It
Istruzioni per l'uso dei servizi pubblici e strumenti per la tutela dei diritti
Questo testo fornisce informazioni e strumenti utili per rendere più tutelabili i diritti dei cittadini e aprire nuovi spazi di partecipazione civica nei servizi di pubblica utilità. Una guida che - grazie alla sintesi delle principali normative, a esempi di carte di diritti, a un glossario di termini utili e ad alcuni moduli da utilizzare all'occorrenza - si propone di accompagnare il cittadino nella conoscenza base dei trasporti, delle telecomunicazioni, della pubblica amministrazione, dei servizi postali e bancari, dei servizi idrici, elettrici e del gas.
La convinzione di fondo è che la conoscenza dei meccanismi e del modo di funzionare di servizi fondamentali possa aiutare a far rispettare i diritti previsti dalle leggi e a promuoverne di nuovi.
I consumatori non devono più essere utenti o clienti passivi, ma cittadini attivi, corresponsabili della migliore qualità dei servizi e della tutela dell'interesse generale.
NotaRDM - La contrattualità prevista dalle aziende private moderne di notevoli dimensioni, come le aziende privatizzate o le multinazionali presenti in territorio extranazionale non dovrebbe essere vista, in un ottica pubblica, istituzionale e di comunicazione di massa, come equivalente a quella statale o di tipo parastatale; bensì essa dovrebbe giustamente integrarsi fattualmente e non soltanto formalmente nell'assetto sociogiuridico globale e, grazie a fisiologici correttivi socioculturali e alle speciali misure antitrust occorrenti applicate con perizia, alle normali operazioni di mercato e più in generale di tutti i gruppi sociali considerabili.
In ciò non vi è alcuna definizione di classe o parametro divisorio monolitico ma bensì degli interessi variegati di singoli o gruppi. Questo sul piano puramente di principio funzionale.
Ovviamente, l'immenso patrimonio storico, tecnologico, organizzativo, oltre che quelli, soverchianti, economici e finanziari, di gruppi aziendali privati o simili, prescindendo da obblighi meramente normativi, può contribuire ad aumentare la rilevanza degli stessi nella sfera di incidenza degli interessi sociali, ad esempio rispetto all'immediato tornaconto generale nel settore dell'occupazione; quando ciò avviene a scapito della funzioni principali come quelle istituzionali e di libero mercato, possiamo avere, come dinamica sociale, la disfunzionalità, termine con carattere teorico di riferimento mertoniano; essa deriva da uno sbilanciamento effettivo, latente o parzialmente conosciuto dall'opinione pubblica, anche non pubblicizzato, tra interessi generali o interessi riconosciuti e legittimi e di singoli gruppi di interesse godenti del privilegio di modellare le esigenze locali, e non, in direzioni non previste né utili a nessuna priorità condivisa dalla restante parte della popolazione.
Riprendendo il concetto di consumatore attivo citato prima, abbiamo un consumatore realmente attivo quando il parallelo tra logiche politiche e logiche cosiddette 'lobbistiche' viene cancellato e le logiche della politica effettiva vengono recuperate come tra gruppi di interesse: il consumatore attivo può appartenere a diversi gruppi di interesse essendo, in un sistema sociale bilanciato tra contrattazione e libertà capitalistica regolata, possibile che egli sia al contempo consumatore, interessato al controllo delle aziende e dello Stato per evitare vessazioni come cittadino, e fornitore di beni e servizi al consumatore come parte della struttura istituzionale o aziendale, oltre che appartenente ad una particolare e singolare azienda economica, il nucleo familiare considerato giuridicamente, sociologicamente e biologicamente.
Ciò produce la duplice necessità di avere un consumatore pìù attivo per evitare una pressione incontrollata da parte di interessi contrari e di proporre una maggiore informazione e conoscenza generale delle dinamiche aziendali ed istituzionali al fine di avere un migliore rapporto tra istituzioni, aziende e consumatori; al contempo può produrre un aumento conoscitivo generale, suscettibile di trasformare ogni consumatore in una parte integrante di un sistema sociale meglio organizzato e più utile a soddisfare i reciproci interessi. RDM
Economia, Scienze D. Comunicazione
Internet e la rivoluzione del mercato mondiale
Intervista a Franco Modigliani (anno 1999)
Selezione, Integrazione e Cura: Roberto Di Molfetta
Tratto da: Mediamente.rai.it
Domanda n°1 - Quello che avviene su Internet è una moda, una mania, una follia, o un'insegna dei nostri tempi ?
Modigliani - Direi che si deve rispondere affermativamente a tutte queste domande, ma ogni risposta affermativa ha un significato molto diverso. Dire che è vero che Internet è una moda. È una cosa che qualche anno fa non esisteva ed oggi è diventata una cosa frequente. Molta gente fa transazioni, acquisti e vendite attraverso Internet. Questo atteggiamento, secondo me, è una moda acquisita che continuerà nel tempo perché effettivamente è una maniera comoda, efficiente di fare scambi di ogni tipo. Si tratta di un 'trend' che prevedo continui.
Domanda n°2 - Cosa ne pensa del valore dei titoli Internet sul mercato ?
Modigliani - È interessante parlare dell'andamento dei prezzi sul mercato, dei vorticosi eventi che si sono avuti, degli enormi tassi di capitalizzazione, rapporto fra profitti e fra prezzo e profitto a livelli paurosamente alti. Questa, ad esempio, è in buona parte una mania e una follia. Si tratta essenzialmente di una mania tipica delle bolle speculative in cui la gente ci si butta dentro e buttandocisi giustifica la bolla stessa. Se voi pensate all'essenza della bolla speculativa, in che cosa consiste ? Che cosa avviene ? Che l'acquirente guadagna per via dell'aumento del prezzo ed è quello che è la principale fonte di guadagni e che per poter giustificare un alto rapporto prezzi al rendimento bisogna che la crescita sia forte e continui. Fino a che continua la gente tende a correre a comprare il titolo e questo serve a continuare la crescita, ma mano a mano che questo avviene il rapporto fra prezzo e rendimento diventa sempre più incredibile, immantenibile, non giustificato dall'essenza della situazione e la bolla scoppia quando la gente si rende conto che non è più possibile comprare e trovare uno stupido abbastanza da pagare ancora di più. A questo punto la gente si decide a vendere e quando vende viene il crollo perché nessuno più vuole tenere i titoli che non hanno la possibilità di apprezzarsi. Questo è l'aspetto della follia del mercato.
Domanda n°3 - Tutti i titoli di Internet sono sopravvalutati ?
Modigliani - No, non tutti i titoli di Internet sono sopravvalutati. Senza dubbio da qui a dieci anni, o forse anche cinque, si vedrà che di quei titoli un piccolo numero avrà avuto successo, un piccolo numero avrà giustificato il suo prezzo di oggi, la maggior parte varrà quasi niente, molto poco o niente. E il grande problema, quello che rende speculativo il mercato, è il fatto che è estremamente difficile sulla base dei dati di oggi capire quali di quei 100 titoli avrà un successo e quali saranno i 90 che falliranno. È quasi impossibile anche per gli esperti a causa della mancanza di dati, perché sono imprese in campi che si muovono rapidamente, perché è difficile prevedere la concorrenza. Molte di queste imprese hanno grandi speranze di guadagni che però vengono troncati dalla concorrenza di nuove imprese.
Domanda n°4 - È possibile immaginare quali siano i titoli non sopravvalutati in questo mercato ?
Modigliani - No ! Come ho detto per gli esperti è difficile sapere qual è il titolo per cui l'euforia del mercato è giustificata, quindi giocare sul mercato di Internet è un gioco estremamente rischioso. Qualcuno ne uscirà bene, la maggior parte ne uscirà con gli occhi gonfi. Questo credo che sia l’essenza del problema. Naturalmente è chiaro cosa riguardano i rischi di essere in questo mercato e i rischi sono come quelli di chi va a giocare alla 'roulette' e punta sul numero 37: se vince fa un bottino, ma molto raramente vince. Quindi bisogna rendersi conto che è un gioco estremamente rischioso e che non è raccomandabile per chi ha poche risorse, per chi non ama il rischio o non ha possibilità di rifarsi delle perdite. Per quella gente è bene stare fuori da questo mercato.
Domanda n°5 - Qual è la sua analisi per quanto riguarda il mercato azionario in genere ?
Modigliani - Per quello che riguarda il mercato azionario in genere, la mia analisi è la stessa: anche in questo caso c’è una bolla speculativa nel senso che le azioni sono sopravvalutate. In questo caso è più facile stimare il futuro dei profitti. Per una General Electrics o una di queste grandi imprese, è più facile, ma il mercato sopravvaluta il prezzo perché sopravvaluta la possibilità di guadagni, della crescita dei guadagni. Questi prezzi di oggi, anche per le cosiddette 'blue chips', queste ottime azioni, sono giustificate soltanto se il tasso di crescita dei profitti è enorme. Per giustificare un rapporto di 40 ci vuole un tasso di crescita del 15-20% all’anno per sempre. Ora, dalla nostra esperienza sappiamo che un tasso di crescita di questa grandezza non può mantenersi; può durare qualche anno ma non può mantenersi, e quando cessa, quando si allenta, allora crolla il prezzo delle azioni. Questo vuol dire che l’azione era sopravvalutata, chi la compra oggi deve rendersi conto che è sopravvalutata nel senso che a un certo punto può crollare e, di nuovo, la parola crollare vuol dire essenzialmente una forte discesa, molto rapida, perché le bolle non si sgonfiano altro che scoppiando, in maniera molto rapida, seguita da un periodo in cui il prezzo resta molto al di sotto di quello originale, diciamo 20-25%, per parecchio tempo. Eventualmente, naturalmente, tornerà su perché i profitti continuano ad aumentare ma la riduzione del tasso di crescita è sufficiente a produrre il crollo. Quindi bisogna capire che questa analisi non permette di prevedere quando scoppierà la bolla perché è un meccanismo complicato: la bolla scoppia quando la gente si rende conto che è una bolla, quando se ne rendono conto in molti. Quanto ci vuole per rendersene conto ? Eh, se lo sapessi sarei ricco. Io sono stato citato malamente quando ho detto che ci sarà un immediato 'crash', un’immediata caduta del mercato, non si sa quando. Quello che io dico è che fra oggi e un futuro con i prezzi simili a oggi ci sarà un periodo con prezzi molto più bassi. Questo è quello che affermo.
Domanda n°6 - E quando avverrà questo 'crash' ?
Modigliani - Beh, secondo me non ci vorrà molto ma certo non posso dire quando perché è una cosa che è praticamente impossibile prevedere. Si può dire che avverrà. Quando non lo so.
Economia
Il declino globale degli stipendi
di MAURIZIO RICCI
Tratto da: Repubblica.It
La lotta di classe? C'è stata e l'hanno stravinta i capitalisti. In Italia e negli altri Paesi industrializzati, gli ultimi 25 anni hanno visto la quota dei profitti sulla ricchezza nazionale salire a razzo, amputando quella dei salari, e arrivare a livelli impensabili ("insoliti", preferiscono dire gli economisti). Secondo un recente studio pubblicato dalla Bri, la Banca dei regolamenti internazionali, nel 1983, all'apogeo della Prima Repubblica, la quota del prodotto interno lordo italiano, intascata alla voce profitti, era pari al 23,12 per cento.
Di converso, quella destinata ai lavoratori superava i tre quarti. Più o meno, la stessa situazione del 1960, prima del "miracolo economico". L'allargamento della fetta del capitale comincia subito dopo, nel 1985. Ma per il vero salto bisogna aspettare la metà degli anni '90: i profitti mangiano il 29 per cento della torta nel 1994, oltre il 31 per cento nel 1995. E la fetta dei padroni, grandi e piccoli, non si restringe più: raggiunge un massimo del 32,7 per cento nel 2001 e, nel 2005 era al 31,34 per cento del Pil, quasi un terzo. Ai lavoratori, quell'anno, è rimasto in tasca poco più del 68 per cento della ricchezza nazionale. Otto punti in meno, rispetto al 76 per cento di vent'anni prima.
Una cifra enorme, uno scivolamento tettonico. Per capirci, l'8 per cento del Pil di oggi è uguale a 120 miliardi di euro. Se i rapporti di forza fra capitale e lavoro fossero ancora quelli di vent'anni fa, quei soldi sarebbero nelle tasche dei lavoratori, invece che dei capitalisti. Per i 23 milioni di lavoratori italiani, vorrebbero dire 5 mila 200 euro, in più, in media, all'anno, se consideriamo anche gli autonomi (professionisti, commercianti, artigiani) che, in realtà, stanno un po' di qui, un po' di là. Se consideriamo solo i 17 milioni di dipendenti, vuol dire 7 mila euro tonde in più, in busta paga. Altro che il taglio delle aliquote Irpef.
Non è, però, un caso Italia. Il fenomeno investe l'intero mondo sviluppato. In Francia, rileva sempre lo studio della Bri, la fetta dei profitti sulla ricchezza nazionale è passata dal 24 per cento del 1983 al 33 per cento del 2005. Quote identiche per il Giappone. In Spagna dal 27 al 38 per cento. Anche nei paesi anglosassoni, dove il capitale è sempre stato ben remunerato, la quota dei profitti è a record storici. Dice Olivier Blanchard, economista al Mit, che i lavoratori hanno, di fatto, perduto quanto avevano guadagnato nel dopoguerra.
Forse, bisogna andare anche più indietro, al capitalismo selvaggio del primo '900: come allora, in fondo, succede poi che il capitalismo troppo grasso di un secolo dopo arriva agli eccessi esplosi con la crisi finanziaria di questi mesi. Ma gli effetti sono, forse, destinati ad essere più profondi. C'è infatti questo smottamento nella redistribuzione delle risorse in Occidente dietro i colpi che sta perdendo la globalizzazione e il risorgere di tendenze protezionistiche: da Barack Obama e Hillary Clinton, fino a Nicolas Sarkozy e Giulio Tremonti.
Sostiene, infatti, Stephen Roach, ex capo economista di una grande banca d'investimenti come Morgan Stanley, che la globalizzazione si sta rivelando come un gioco in cui non è vero che vincono tutti. Secondo la teoria dei vantaggi comparati di Ricardo, la globalizzazione doveva avvantaggiare i paesi emergenti e i loro lavoratori, grazie al boom delle loro esportazioni.
E quelli dei paesi industrializzati, grazie all'importazione di prodotti a basso costo e alla produzione di prodotti più sofisticati. "E' una grande teoria - dice Roach - ma non funziona come previsto".
Ai lavoratori cinesi è andata bene, ma quelli americani ed europei non hanno mai guadagnato così poco, rispetto alla ricchezza nazionale. Sono i capitalisti dei paesi sviluppati che fanno profitti record: pesa l'ingresso nell'economia mondiale di un miliardo e mezzo di lavoratori dei paesi emergenti, che ha quadruplicato la forza lavoro a disposizione del capitalismo globale, multinazionali in testa, riducendo il potere contrattuale dei lavoratori dei paesi sviluppati.
Quanto basta per dirottare verso le casse delle aziende i benefici dei cospicui aumenti di produttività, realizzati in questi anni, lasciandone ai lavoratori le briciole. Inevitabile, secondo Roach, che tutto questo comporti una spinta protezionistica nell'opinione pubblica, a cui i politici si mostrano sempre più sensibili.
Ma il ribaltone nella distribuzione della ricchezza in Occidente è, allora, un effetto della globalizzazione? Non proprio, e non del tutto. Secondo gli economisti del Fmi, nonostante che il boom del commercio mondiale eserciti una influenza sulla nuova ripartizione del Pil, l'elemento motore è, piuttosto, il progresso tecnologico. Su questa scia, Luci Ellis e Kathryn Smith, le autrici dello studio della Bri, osservano che il balzo verso l'alto dei profitti inizia a metà degli anni '80, prima che le correnti della globalizzazione acquistino forza. Inoltre, l'aumento della forza lavoro disponibile a livello mondiale interessa anzitutto l'industria manifatturiera, ma, osservano, non è qui - e neanche nei servizi alle imprese, l'altro terreno privilegiato dell'offshoring - che si è verificato il maggior scarto dei profitti.
Il meccanismo in funzione, secondo lo studio, è un altro: il progresso tecnologico accelera il ricambio di macchinari, tecniche, organizzazioni, che scavalca sempre più facilmente i lavoratori e le loro competenze, riducendone la forza contrattuale. E' qui, probabilmente, che la legge di Ricardo, a cui faceva riferimento Roach, si è inceppata. Il meccanismo, avvertono Ellis e Smith, è tutt'altro che esaurito e, probabilmente, continuerà ad allargare il divario fra profitti e salari in Occidente.
Dunque, è la dura legge dell'economia a giustificare il sacrificio dei lavoratori, davanti alla necessità di consentire al capitale di inseguire un progresso tecnologico mozzafiato? Neanche per idea. La crescita dei profitti, sottolinea lo studio della Bri, "non è stato un passaggio necessario per finanziare investimenti extra". Anzi "gli investimenti sono stati, negli ultimi anni, relativamente scarsi, rispetto ai profitti, in parecchi paesi". In altre parole "l'aumento della quota dei profitti non è stata la ricompensa per un deprezzamento accelerato del capitale, ma una pura redistribuzione di rendite economiche". La lotta di classe, appunto.