Raccolta di appunti personali ed estrapolazioni

Roberto Di Molfetta

Estratti da un'intervista, pubblicata su Rai Educational, a
Pierre Bourdieu - "Ragione e Storia" - maggio 1994

Pierre Bourdieu

BOURDIEU: [...] La domanda di fondo, a cui è difficile rispondere, è sapere se la storicizzazione implichi relativizzazione, e se la scienza che storicizza - cioè la scienza sociale - non distrugga i propri fondamenti dato che essa deve storicizzare se stessa, e quindi, di conseguenza, relativizzare se stessa. Questo argomento viene tirato fuori periodicamente. I filosofi - anche se non quelli migliori - riscoprono periodicamente questo argomento, il quale è stato quindi molto usato. Per esempio, un grande fondatore della sociologia come Max Weber per tutta la vita si è dibattuto in questo problema.

[...]

E' vero che il sociologo o lo storico sociale (che sono in fondo la stessa cosa) riporteranno questi prodotti dello spirito umano - si tratti di matematica o di letteratura, ecc. ecc. - alle condizioni storiche di produzione; più precisamente ancora, cercheranno di riportare le produzioni particolari di uno storico, di un sociologo, di un filosofo, o di un matematico particolare alla posizione specifica occupata da questo produttore culturale nel mondo sociale del suo tempo. In tutti i campi abbiamo lo stesso dibattito, che sia nel campo del diritto, della letteratura o dell'arte (l'arte è il terreno di confronto più tipico). Quasi sempre il dibattito si organizza interamente attorno ad una grande opposizione: tra quelli che chiamerò gli "internalisti" e gli altri. Gli internalisti pensano che si possano riportare le creazioni culturali a se stesse e solo a se stesse; e cioè, per comprendere un testo di James Joyce o di Virginia Woolf, o un quadro di Mondrian, ecc., il solo riferimento è l' opera stessa - o, a rigore, lo spazio delle [costituito dalle] opere. Per i formalisti russi, ad esempio, sarà lo spazio delle opere in cui ognuna di esse verrà riportata all' altra. Per esempio Lévi-Strauss, quando studia con Jakobson un sonetto di Baudelaire - 

INTERVISTATORE: Quale ? 

BOURDIEU:..."Les chats" ["I gatti"] di Baudelaire - prende questo sonetto e lo studia in sé e per sé senza alcun riferimento al contesto storico, e nemmeno al resto dell' opera di Baudelaire, nella quale pur troviamo una dozzina di poesie che parlano di gatti, e che potrebbero fornire delle chiavi per capire quel sonetto particolare. Ma loro si limitano a quella sola poesia. Questo atteggiamento "internalista" è molto comune, e oggi ha subìto una sorta di "aggiornamento" [in italiano nel testo -NdT]: è l' atteggiamento classico del Professore
[...]
I professori sono dei "lectores", essenzialmente dei lettori che leggono testi, e che addirittura leggono i quadri come se fossero testi. Nel periodo semiologico, chiamato in Francia strutturalismo, gli interpreti dicevano "adesso leggiamo quel quadro". Loro prendono tutte le produzioni culturali come dei testi che occorra decifrare. "Decifrare" significa che c'è una cifra, nel senso di un codice, e che bisogna reinventare questa cifra per decodificare. "L' opera è in sé autosufficiente": questa è la filosofia spontanea della lettura propria, in fondo, della maggioranza dei produttori culturali, i quali pensano che le loro opere abbiano in se stesse le loro chiavi, e che non serva a nulla andare a guardare fuori [di esse] per capirle. La posizione opposta, molto classica, spesso associata al marxismo, consiste nel riportare il testo al contesto, alle condizioni storiche ecc. E qui incontriamo autori molto diversi...

Glossa RDM: qui le posizioni, apparentemente dicotomiche, potrebbero ricomporsi nella semplice idea che è inutile scindere l'analisi dell'opera in sé stessa e le conoscenze sul contesto in cui è stata generata, addirittura vedendo come inconciliabili le due tendenze culturali. Altro non sono i due momenti che il conoscere l'oggetto e il conoscere ciò che lo ha determinato; il cos'è e il cosa l'ha generato. I filosofi dimostrano quello che è un vizio atavico: quello di dividersi facilmente in schieramenti, scaturiti dalla ripetizione di secolari discorsi filosofici sempre uguali piuttosto di considerare possibili soluzioni alternative pur non incuneate nel solco della tradizione. Bourdieu parla di chi vuol considerare l'opera e di chi, approfondendo la conoscenza storica su ciò che era intorno all'opera, vuole arrivare a conoscerla tramite un percorso diverso. Ma se è assurdo conoscere qualcosa senza analizzarlo direttamente, lo è altrettanto pretendere di concepire superflue tutte le informazioni su ciò che lo ha generato. Conoscere veramente bene una donna francese, "un'opera umana", se vogliamo considerla tale, è evidentemente sia conoscere lei stessa che la famiglia di provenienza, la nazione dalla quale è stata educata, istruita, le esperienze, positive o negative che ha avuto nella sua Francia storicamente viva. Scopriamo così che le abitudini di quella persona sono quelle anche della sua famiglia, di una popolazione, di una regione della Francia, cioé della società francese. Questa concittadina del compianto Bourdieu è sia completamente se stessa sia, inevitabilmente, simile, per molte caratteristiche, ad altre francesi, le quale possono, e, aggiungo, dovrebbero, tempo permettendo, essere conosciute tramite una visione totale, non limitata a questa o quella persona ma neanche ad un sociologismo semplificante. Un'opera musicale che venisse conosciuta come isolata non permetterebbe di sapere quali influenze l'hanno generata, influenze che sono sia individuali che sociali (basti pensare all'abitudine austriaca di suonare musica strumentale all'aperto come determinò, in quel periodo, la composizione mozartiana di "Eine kleine nachtmusik"). Più avanti nel testo Bourdieu si allinea su questa seconda ipotesi. RDM -

INTERVISTATORE:Ci può fornire qualche nome significativo di questa posizione ?

Bourdieu: E' il punto di vista di Lucien Goldmann in Francia, o di Lukacs nella tradizione germanica; in pittura abbiamo un grande specialista del Quattrocento, Frédéric Antal, che ha pubblicato cose davvero notevoli [su questa linea]. Troviamo studiosi molto diversi, e in campi molto vari [che si ispirano a questa filosofia]. Ad esempio nel diritto, troviamo la stessa posizione. Quando si va un pò oltre la propria specialità - sfortunatamente gli storici dell' arte fanno solo storia dell'arte, gli storici della letteratura sono solo storia della letteratura, ecc. - allora ci si accorge che ci sono esattamente gli stessi dibattiti nelle diverse discipline. A mio avviso si può superare un po' questo dibattito in modo alquanto sano, dicendo che i testi (o i dipinti, o altro), certo, esistono in modo indipendente dalle loro condizioni di produzione, ma costituiscono un sistema (ad esempio tutti i testi di una data epoca). E' stato questo il grande contributo dei formalisti russi: i testi di un' epoca costituiscono un sistema, e per capirli bisogna praticare... bisogna partire da un postulato di intertestualità, cioè bisogna pensare che i testi si parlino tra di loro.
[...] Vale a dire un piccolo universo, che è un universo sociale nel quale i poeti sono in concorrenza con i poeti, i matematici con i matematici, gli storici con gli storici, i sociologi con i sociologi, ecc. All' interno di ognuno di questi mini-universi ci sono delle abitudini mentali, per parlare come Foucault, delle maniere permanenti di pensare, di percepire e di apprezzare il mondo che sono socialmente costituite - sono delle categorie sociali della percezione, per farla breve. E ci sono anche degli interessi - non nel senso di Bentham, "gli interessi infami", ma in un senso molto particolare: ad esempio, gli interessi che vi spingono a confutare un teorema; oppure sono gli interessi che vi spingono a dire "non è più possibile fare poesia in questo modo, siamo stufi -come diceva un poeta- del ronron poetico, ci vuole qualcosa di nuovo", ecc. E per capire quello che accade in questi universi del pensiero, bisogna conoscere allo stesso tempo da una parte lo spazio dei testi, lo spazio delle possibilità, con le quali un creatore farà i conti, e d' altra parte lo spazio delle lotte sociali, delle lotte di concorrenza, delle lotte per la priorità. Sappiamo bene che la storia delle scienze, per esempio, è piena di storie sinistre: furti di idee, plagi, e simili (a Roma sono stato personalmente molto VICINO, biograficamente, a questa frase, ndRDM). Tutto questo va preso [in considerazione].

Qui il problema del relativismo si pone in altro modo. Penso che la soluzione di questa contraddizione apparente verrà proprio da qui... Praticamente tutti i filosofi, soprattutto del XIX secolo, hanno preso come punto focale della loro riflessione questa domanda: "Come, senza postulare l' esistenza di una rivelazione trascendente, si può sfuggire alla Storia? Come si possono strappare delle verità, dei valori -quali la bellezza, la verità- alla Storia senza tornare ad una sorta di platonismo, a delle essenze del Vero, del Bello, del Bene, ecc.?" Penso che, a partire da questa idea di campo, si possa rispondere [in un modo soddisfacente]. Oggi, ad esempio, si prenda la matematica, una delle discipline più universali, nel senso che il campo della matematica è mondiale (i matematici hanno una specie di lingua universale, si comprendono tra di loro grazie ai loro simboli [matematici], anche se non si capiscono per le loro lingue nazionali). Dunque, il campo della matematica è coestensivo all' universo; e all' interno di questo campo ci sono persone che lottano per la Verità con delle armi del tutto particolari. Il centurione romano che taglia la testa ad Archimede non riporta una vittoria matematica, mentre chi confuta un teorema riporta una vittoria matematica con armi matematiche. Nul n' entre ici qui ne soit géomètre vuol dire: se voglio trionfare sul mio avversario -e questo lo vuole qualsiasi partecipante a questi giochi sociali come la matematica, il diritto, la filosofia, ecc.- devo trionfare secondo le regole del gioco particolare nel quale sono inserito, secondo le regole del campo. Per "uccidere" il mio avversario, se sono un matematico, devo confutarlo attraverso una dimostrazione un po' diversa, o attraverso l' invenzione di una soluzione un po' diversa [dalla sua]. Se voglio "uccidere" il mio avversario, essendo io giurista, devo usare degli argomenti giuridici, e solo argomenti giuridici. Grazie a questa autonomia degli universi -perché è di questo che si tratta- ogni universo ha il suo nomos, ha i propri principi costitutivi, la propria legge fondamentale, diversa da quella dell' universo contiguo. L'universo filosofico ha un nomos diverso da quello scientifico; l'universo sociologico ha un nomos diverso da quello psicologico. Ad esempio, la frase di Durkheim "bisogna spiegare il sociale attraverso il sociale" è una tautologia che definisce l' universo sociologico. Molto spesso gli atti di costituzione, i nomoi propri di ogni campo, sono delle tautologie. L'universo artistico è l' universo nel quale gli atti artistici hanno come unico fine l'arte, è l'arte per l'arte. Gli universi matematici sono universi nei quali si entra solo se si è matematici.
Kelsen ha chiamato queste tautologie originarie delle leggi fondamentali... Kelsen difatti ha cercato di fondare una teoria pura del diritto, una teoria "internalista" del diritto indipendente dalle condizioni sociali. Ogni universo ha le sue tautologie originarie, delle leggi fondamentali, che vanno accettate se si decide di far parte di quell' universo. Ma non si tratta semplicemente di accettare di rispettare delle leggi; per essere capaci di accettare queste leggi occorre anche avere la competenza che permetta di accettare queste leggi. In altre parole, si accede ad un campo solo se si ha un certo capitale, una certa conoscenza, che è la condizione per entrare nel gioco, e anche la condizione per avere successo nel gioco.





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